Il Giarolo, angolo segreto di Piemonte

Una terra appartata stretta fra Lombardia, Emilia, Liguria. Un pezzo di Appennino storicamente conteso per controllare le vie di transito tra la pianura padana e il mare. Già dall’antichità una delle principali vie del sale passava dal Giarolo. Il prezioso minerale, indispensabile per la conservazione dei cibi, dalla costa ligure via Tortona e la bassa poteva essere trasportato nei grandi centri del nord fino alla Svizzera.

Estremo lembo orientale del Piemonte il Giarolo condivide tradizioni, cultura, usanze con le altre tre regioni confinanti. Un’identità fatta risalire ai tempi della Marca Obertenga, il vasto territorio controllato dalla dinastia di Oberto I tra il X-XI secolo, oppure al lungo periodo dei Feudi Imperiali, durato fino all’arrivo di Napoleone, quando i possedimenti erano suddivisi fra diverse nobili famiglie, come Fieschi, Doria, Malaspina, Spìnola. Di certo qui, burocrazia a parte,  nessuno ha mai fatto molto caso ai limiti delle province di Alessandria, Pavia, Piacenza, Genova. Per secoli la gente ha vissuto in modi simili e con le stesse abitudini, commerciando, festeggiando, amoreggiando e convolando a nozze  infischiandosene alla grande di pietre miliari e dogane.

Forse è anche  per questo che oggi questa terra ci appare così integra, genuina, autentica, forte della sua storica  vocazione agricola e vinicola. L’autostrada gira alla larga, neanche tanto ma abbastanza per convogliare il gregge degli automobilisti infoiati verso la riviera o al massimo all’outlet. I pochi che deviano, spesso stranieri, soggiornano in agriturismo, percorrono sentieri e sterrate in bici o camminando. Incontrano una collina dove la vite si alterna a frutteti, praterie e boschi rigogliosi, in uno scenario articolato, dolce e composito. Poi arrivano in alto, dove lo sguardo raggiunge nelle belle giornate l’azzurro scintillante del Mar Ligure, che quasi pare di aspirarne la salsedine. Assaggiano prodotti dal sapore antico e indimenticabile,  un vino bianco semisconosciuto da non credere, formaggi senza tempo, salumi di puro artigianato. E allora ripensando alle code di villeggianti smaniosi e furenti sorridono compiaciuti riempiendo le sporte di leccornie.

Il Giarolo è una porzione integrante del Tortonese. Lasciando il capoluogo, poco prima che la Val Curone si faccia collina, a Viguzzolo si trova la bella pieve romanica di Santa Maria Assunta  dell’ XI secolo, e più oltre, a Volpedo quella di San Pietro, fondata nel X secolo. Volpedo è proprio il paese del pittore divisionista Giuseppe Pelizza, autore del celeberrimo Il Quarto Stato. Il ricordo di Pelizza permea l’atmosfera del borgo grazie alla riproduzioni di opere famose disseminate nelle vie. Nello studio-museo del pittore sono conservati alcuni cimeli e alcune opere minori. La zona è famosa anche per le pesche, una varietà sopraffina perfetta allo sciroppo.

Risalendo la Val Curone  si arriva al castelliere di Guardamonte. Nell’area c’è uno dei più antichi insediamenti dell’Italia settentrionale, utilizzato a partire dal neolitico da stirpi liguri e poi da altre popolazioni fino all’epoca romana e a quella imperiale. Un emblema della colonizzazione dell’Appennino, di cui numerosi cimeli sono conservati al museo di Brignano Frascata. Il paese era un antico feudo della famiglia Spìnola, come testimonia il castello di piacevole aspetto del  XVII secolo, parzialmente modificato. Chi ama i paradossi delle terre di confine sarà intrigato dal destino curioso di Serra del Monte: uno stesso abitato suddiviso in due frazioni, l’una in comune di Brignano-Frascata (provincia di Alessandria, Piemonte) l’altra in comune di Cecima (provincia di Pavia, Lombardia). Verso le cime appenniniche i boschi s’infittiscono e certificano il mito di funghi deliziosi e tartufi ingiustamente oscurati da quelli di Langa. San Sebastiano Curone è già decisamente avamposto di Liguria. I carruggi ombrosi sono architettura d’oltre confine per quello che fu ultimo posto di guardia tra ducato di Milano e Repubblica di Genova. Luogo di scambi e commerci un tempo fiorente,  ancora oggi non delude il visitatore, per mangiare, bere e all’occorrenza dormire.

Il comune di Fabbrica Curone, per chiudere la valle s’insinua come uno sperone nelle tre regioni attigue. Un dialetto che più meticcio non si può, intriso di termini e accenti forestieri, si mischia all’aria buona mentre ammiriamo la Pieve gotico-romanica del IX-X secolo dedicata a S. Maria Assunta. Qui si può andare per  sentieri scoprendo il patrimonio ambientale e naturalistico del territorio, e magari visitare i villaggi abbandonati, una piaga triste dell’Appennino. Giarolo marginale,  ma ricco di rarità enogastronomiche. A Fabbrica si trova uno dei pochi caseifici che hanno ripreso a produrre il perduto formaggio Montébore, dal gusto inimitabile e la forma stramba, una torta matrimoniale a tre piani. Il Montébore era considerato nell’antichità una vera squisitezza, tanto che  Leonardo da Vinci in persona lo scelse come unico formaggio al banchetto nuziale di Isabella di Aragona e Gian Galeazzo Sforza  celebrato a Tortona nel 1489.

Seguendo la strada del Montébore si prosegue verso ovest, lasciandosi alle spalle l’Appennino emiliano. I comuni che ora s’incontrano recano nel nome l’inconfondibile marchio d’origine: il suffisso “Ligure” affianca infatti Carrega, e poi lungo il Borbera Cabella, Albera, Rocchetta, Cantalupo, e ancora Mongiardino e Roccaforte intorno alla verdissima Valle Spinti. I torrenti saltellando indicano nuovamente la collina, ricordandoci i  buoni salumi tradizionali. Il salame Nobile del Giarolo ha tutta la sincerità del prodotto artigianale  verace; 18 mesi di stagionatura, ma nella rara pezzatura detta “cucito” può arrivare a 24.

Garbagna è ancora aria di Liguria, per le case e le vie acciottolate che si stringono sboccando nelle piazze. Come la bella piazza Doria, con gli ippocastani intorno all’antico pozzo pubblico e il palazzo nobiliare un tempo sede del Commissario feudale. In primavera i ciliegi tingono di rosa la collina e donano frutti ricercati dagli intenditori. Proprio fra questi tornanti i più vecchi ricordano un ragazzino gracile volare chino sui pedali, come portato dal vento stesso che creava. Il garzone di panettiere più veloce di sempre già mandava inequivocabili segnali da predestinato. In allenamento Faustino Coppi partiva da Castellania e in un baleno era un puntino sulla strada, destinazione la gloria e infine la tragedia. La casa museo intitolata a lui e al fratello Serse richiama sempre gente, magari digiuna di ciclismo, ma affascinata dal mito di un uomo speciale in tempi di mediocrità dilagante.

Il paese è minuscolo ma la collina ammantata di viti, conosciuta per barbera, dolcetto, croatina, cortese che da qui si estende a contornare la città di Tortona nascondeva un altro piccolo tesoro dimenticato. A metà degli anni 80, il  disprezzato vitigno autoctono Timorasso come il rospo della favola trovò  qualcuno che ruppe l’incantesimo per trasformarlo in principe. Oggi se ne ricava un bianco di grande stoffa,  degno dei migliori francesi da invecchiamento. Da poco il Consorzio dei vini del Tortonese ha approvato per questo gioiello la denominazione Derthona (antico nome romano di Tortona) a garanzia di appartenenza territoriale. I migliori produttori sono disseminati intorno al capoluogo, in diversi comuni. Citiamo  Monleale, Montemarzino, Costa Vescovato, lo stesso Castellania, Carezzano, Sarezzano, Pozzolgroppo più altri nei dintorni.  Il Timorasso è solo l’ultimo regalo di una terra  di agricoltura vera e resistente, come fosse ancora quella del popolo contadino scolpita nel Quarto Stato, con la stessa forza, la stessa dignità, la stessa tenace volontà.

Info Giarolo